Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
― 383 ― |
— Va meglio, è vero? Ora è docile come un agnellino.
Si sentiva però stringere il cuore vedendogli voltare e rivoltare lentamente le mani e osservarle a lungo e tastare le punte delle dita a una a una quasi volesse contarle, incurante della bava che riprendeva a colargli. Gliela asciugava col fazzoletto e ne seguiva ogni movimento della testa e degli occhi per scoprirvi qualche lampo di coscienza allorchè gli ripeteva:
— Sono io! Agrippina Solmo! Non mi riconosce, voscenza? Sono venuta a posta; non mi muoverò più di qui!...
Poi, udendogli mugolare qualche parola, gli s’inginocchiava davanti, prendendolo per le mani che brancicavano i calzoni, e tentava di farsi fissare da quegli occhi che parevano inerti.
— Sono io; Agrippina Solmo!... Faccia uno sforzo, voscenza! Si ricordi, si ricordi!... Mi guardi in viso!
Lo sollevava pel mento su cui la barba era già cresciuta ispida, pungente; gli scansava dalla fronte i capelli cascatigli giù nel tenere sempre abbassata la testa come appesantita per la malattia del cervello; e all’ultimo, rizzàtasi con scatto disperato, nascondeva la faccia tra le mani convulse, balbettando:
— Che castigo, Signore! Che castigo!
E intendeva di dire pure per sè, quasi gran parte