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— Va meglio, è vero? Ora è docile come un agnellino.

Si sentiva però stringere il cuore vedendogli voltare e rivoltare lentamente le mani e osservarle a lungo e tastare le punte delle dita a una a una quasi volesse contarle, incurante della bava che riprendeva a colargli. Gliela asciugava col fazzoletto e ne seguiva ogni movimento della testa e degli occhi per scoprirvi qualche lampo di coscienza allorchè gli ripeteva:

— Sono io! Agrippina Solmo! Non mi riconosce, voscenza? Sono venuta a posta; non mi muoverò più di qui!...

Poi, udendogli mugolare qualche parola, gli s’inginocchiava davanti, prendendolo per le mani che brancicavano i calzoni, e tentava di farsi fissare da quegli occhi che parevano inerti.

— Sono io; Agrippina Solmo!... Faccia uno sforzo, voscenza! Si ricordi, si ricordi!... Mi guardi in viso!

Lo sollevava pel mento su cui la barba era già cresciuta ispida, pungente; gli scansava dalla fronte i capelli cascatigli giù nel tenere sempre abbassata la testa come appesantita per la malattia del cervello; e all’ultimo, rizzàtasi con scatto disperato, nascondeva la faccia tra le mani convulse, balbettando:

— Che castigo, Signore! Che castigo!

E intendeva di dire pure per sè, quasi gran parte