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si staccavano dal viso sfigurito del suo benefattore; non lo chiamava altrimenti.
Aveva pregato di restare là l’intera nottata. E lo avea vegliato, ripulendogli le labbra, in piedi davanti al letto, non sentendo stanchezza, con un groppo di pianto che la soffocava e in certi momenti le annebbiava la vista, ma non giungeva a prorompere; con le mani dolorosamente incrociate, e il petto ansante di angoscia a quel continuo agitare della testa con cui il marchese accompagnava gli Ah! Ah! Oh! Oh! quando le allucinazioni gli concedevano qualche ora di tregua.
— Andate a riposarvi; noi abbiamo dormito a bastanza — le disse Titta rientrando nella camera verso l’alba.
— Ah, comare Pina! Chi lo avrebbe mai sospettato! — esclamò mastro Vito, ancora un po’ imbalordito dal sonno.
— No! Lasciatemi stare qui!... — ella rispondeva senza neppure voltarsi.
— E a voi, chi è venuto a dirvelo fino a Modica? — domandò Titta.
— Un signore di Spaccaforno.... Gliel’aveva scritto un amico di qui. Die’ la notizia a mio marito.... E sono accorsa, con la morte nel cuore.... Due giorni di viaggio, con un garzone. Mi pareva di non arrivar mai!
— Andate a riposarvi.... C’è un letto nell’altra stanza....