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testa, stralunando gli occhi, quasi irriconoscibile! Solide corde lo tenevano fermo su la seggiola, e Titta e mastro Vito Noccia, il calzolaio, reggevano dai lati la seggiola che scricchiolava, asciugando di tratto in tratto la bava che dalla bocca colava sul mento e sul petto del demente.

— Ma come?... Ma come?

— All’improvviso! — spiegava il cavalier Pergola. — Da più giorni si lagnava di una trafittura al cervello, di un chiodo, diceva, conficcato nella fronte.... Il male ha lavorato, lavorato sottomano.... Ormai, è certo.... — riprese a un gesto interrogativo del suocero. — Lo ha ammazzato lui, per gelosia!...

— Inesplicabile! — esclamò il notaio Mazza.

— Anzi, ora tutto diventa chiaro — riprese il cavalier Pergola.

E stettero un pezzo muti, a guardare il marchese che non cessava un minuto di agitare la testa, di stravolgere gli occhi, urlando con una specie di ritmo: “Ah! Ah!... Oh! Oh!„ mandando bava dalla bocca, intramezzando agli urli parole che rivelavano le rapide allucinazioni della mente sconvolta:

— Eccolo! Eccolo!.. Mandatelo via!... Ah! Ah! Oh! Oh!... Zitto! Siete confessore!... Voi non potete parlare! Siete morto!... Non potete parlare.... Nessuno deve parlare!... Ah! Ah! Oh! Oh!

— Sempre così! — disse Titta stralunato.