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XXXIII.


La mattina, tutta Ràbbato già sapeva la notizia dell’improvvisa pazzia del marchese.

— Ma come? Ma come?

Lo zio don Tindaro era accorso tardi; nessuno aveva pensato di farlo avvertire; e per strada parecchi lo avevano fermato, chiedendo particolari — se ne dicevano tante! — meravigliandosi che il cavaliere dichiarasse di non saper niente e di accorrere appunto per persuadersi — gli pareva impossibile! Uno così equilibrato come il marchese suo nepote! — se si trattasse di delirio febbrile o di vera pazzia. All’ultimo, nel piano di Sant’Isidoro, gli era andato incontro il notaio Mazza: — È vero? Che disgrazia!

— Ne so meno di voi. Io abito, per dir così, all’altro polo. Voglio prima vedere coi miei occhi.

— Ha tentato di ammazzare la marchesa....