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terracotta trovata negli scavi la settimana scorsa. Guardate, quella lì; io non me ne intendo. A sentire lo zio Tindaro, vale un tesoro.

— Bella e ben conservata. Cerere; si capisce dal mazzo di spighe che porta in braccio.

— E il marchese intanto, quando gliela mostrai, mi rispose: — Buttatela via! Volete giocare con la bambola? Mio zio è pazzo.

Don Aquilante sorrise.

— Che vi ha detto? Che si sente? — domandò la marchesa.

— Un po’ di mal di capo, niente altro.

Da quattro giorni, il contegno del marchese era così strano, che Zòsima non sapeva che cosa pensare o fare. Ella aveva promesso: — Mai più! Mai più! — e temeva che le sue parole non provocassero qualche scena violenta come l’altra volta. Chi sa? Forse egli intendeva di metterla al cimento. E questo dubbio la rendeva timida, riguardosa in ogni atto, in ogni parola.

Il massaio di Margitello aveva chiesto ordini intorno a certi lavori da intraprendere. Doveva attendere il padrone? Fare di suo capo? E il marchese era entrato in furore appena Titta aveva aperto bocca:

— Dice il massaio....

— Bestia tu e lui! Bestie! Bestie! Bestie! Dovrei mandarvi via! Bestioni!