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chieri in mano, ascoltando, con qualche impazienza, le spiegazioni ch’egli dava intorno ai tagli operati e alle manipolazioni dovute fare appunto per creare il tipo, che doveva chiamarsi Ràbbato, bello e strano nome da portare buona fortuna.

Poi il vino sgorgò dalla cannella della botte Zòsima limpido, di un vivo color di rubino, coronando con lieve cerchio di spuma rosseggiante i bicchieri; ma il notaio Mazza, assaggiàtolo, nel punto di fare un brindisi, si era arrestato, assaporando, facendo scoppiettare le labbra, tornando ad assaggiare, guardando negli occhi tutti gli altri che assaggiavano come lui, senza che nessuno si decidesse a dire il suo parere, quasi ognuno avesse paura di essersi ingannato.

— Ebbene? — fece il marchese.

— Cavaliere, dica lei....

— Oh!... Voi, caro notaio, siete assai più fino conoscitore di me.

— Allora, don Fiorenzo Mariani.... — riprese il notaio.

— Io? — lo interruppe questi, atterrito di dover pronunziare un parere in faccia al marchese.

— Parli l’avvocato, e questa volta da giudice....

— Dichiaro la mia incompetenza — s’affrettò a rispondere don Aquilante che aveva già riposto nel vassoio il bicchiere ancora colmo.

— Tipo Chianti, ma più forte — disse il marchese, dopo aver assaggiato.