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Con straordinaria lucidità di mente, la baronessa aveva provveduto in quegli ultimi due giorni a modificare il suo testamento.

— Ero in collera con mio fratello e con mia nepote allora.... Non voglio che maledicano la mia memoria. Tu sei ricco a bastanza — disse al marchese. — Tindaro ha più bisogno di te.... E Cecilia ha due figli....

Ed era morta due giorni dopo balbettando la canzonetta del Metastasio, stringendo la mano di Zòsima, cercando con gli occhi i canini accucciati dappiè sul letto, e che poterono essere allontanati a stento. Minacciavano di avventarsi e mordere chi si accostava alla loro padrona, stesa rigida sotto le coltri, col capo abbandonato sui guanciali, e tra i capelli, sotto la cuffia, i diavolini voluti farsi fare la sera avanti perchè da anni ed anni ogni sera aveva praticato così.

La marchesa pensava ancora dopo un mese alle parole della baronessa: — Sei felice, è vero? — e alla sua risposta: — Sì, zia! Ora la baronessa doveva vedere di lassù che ella le aveva mentito per non turbarle quegli ultimi giorni di vita. Non si era mai sfogata con lei, come con la mamma e la sorella; la baronessa non avrebbe avuto la prudenza di confortarla e di tacere col nepote; e Zòsima non voleva che tra il marchese e lei vi fossero intermediari; preferiva soffrire.