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— Sùbito, — rispose la baronessa.
Agrippina Solmo salutò, con un cenno del capo, prima lei, poi don Silvio e, chiusa nella mantellina, eretta, quasi altera, gettando sguardi diffidenti e scrutatori ora su l’una, ora su l’altro, si avvicinò lentamente verso il canapè.
— Che comanda, voscenza?
Il tono della voce era umile, l’atteggiamento no.
— Non comando niente; sedete.
E rivolgendosi a don Silvio, la baronessa soggiunse:
— Ho piacere che voi siate testimone. - Sedete — replicò, vedendo che la Solmo restava ancora in piedi. Poi, dopo alcuni istanti di pausa, con aria severa e accento duro, disse:
— Figlia mia, parliamoci chiaro. Se avete fatto ammazzare vostro marito...
— Io?... Io?
La baronessa, senza lasciarsi intimidire dall’energica protesta, nè dall’occhiata divampante di indignazione che l’aveva accompagnata, continuò:
— C’è chi lo sospetta e lo farà sapere anche alla giustizia!
— E perchè, perchè lo avrei fatto ammazzare? Io? Oh, Vergine santissima!
— Chi sa che vi è passato per la testa! Tentazioni del demonio, certamente. Vi eravate messa in grazia di Dio prendendo marito... Non vi accuso per