Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/318


― 314 ―


— Eh sì, col vino che danno i Crisanti! Aceto battezzato. Credetemi, per strada pensavo a mia madre che avevo lasciato malata, poveretta. C’era un fil di luna. Il cielo, sereno, con le stelle che ammiccavano; e il cane dei Sidoti uggiolava lassù davanti a la casa con la porta aperta, e gli uomini che discorrevano. Si udivano le voci, non le parole.... Questo per dirvi che non era tardi; un’ora di notte, forse, poco più....

— E così? — disse il marchese, vedendo che il contadino si era fermato per riaccendere la pipa.

— Mi sento accapponare la pelle ogni volta che ne parlo. Prima, rispondevo anche io: — Sciocchezze! Fantasia alterata! — quando udivo parlare di queste cose; ma ora mi farei mozzare il collo, eccellenza, perchè è la verità, se volessero costringermi a dire che non è vero.... Ero arrivato a metà della carraia qui, di Margitello, e davanti a me non c’era nessuno. Ci si vedeva bene.... Via, si fosse trattato di uno a piedi, forse non avrei potuto accorgermene... Ma di uno a cavallo! Avrei dovuto almeno sentire il rumore delle zampe della mula.... Tutt’a un tratto!... Come se la mula e l’uomo che la cavalcava fossero sbucati di sotto terra! La mula faceva salti, girava a destra, a sinistra.... A una ventina di passi, eccellenza, gridai: — Ohè! Badate! — Temevo che non mi venisse addosso.... Coi fichi d’India della siepe non potevo scansarmi, e mi