Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
― 268 ― |
— Le dita della mano non sono tutte uguali! Non sei il marchese di Roccaverdina per niente! Vorrei vedere che ti dicessero di no.
— È probabilissimo. Quei signori della Giunta ce l’hanno un po’ con me, per la lotta di mesi fa.
— Vorrò vederla!
— In ogni caso, al Municipio andremo di sera, tardi...
— Festa di famiglia, hai detto l’altra volta. Ora che quel disgraziato ha celebrato anche il matrimonio religioso, Tindaro non vorrà più tener duro con sua figlia.
— È in rottura anche con me, per gli scavi che non gli ho permesso di fare a Casalicchio.
— È in rottura con tutti quel matto! Suo figlio già ritorna da Firenze ammalato, pare, di tisi. Povero giovane! Chi sa che stravizi ha fatto!... Basta: non dovremo far ridere la gente. Questo matrimonio sarà una bella occasione per riconciliare tutti.
— Lo pensavo anch’io, zia. In quanto ai vestiti e al corredo per Zòsima....
— Lascia fare a me. Mi metterò d’accordo io con la signora Mugnos. Eccellente persona, ma un po’ orgogliosa, o meglio, di troppo delicato pensare. So io come prenderla, per non offendere il suo amor proprio.
— Sì, zia. Verrò qui domani; a che ora?
— Ti manderò a chiamare io.