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— Le dita della mano non sono tutte uguali! Non sei il marchese di Roccaverdina per niente! Vorrei vedere che ti dicessero di no.

— È probabilissimo. Quei signori della Giunta ce l’hanno un po’ con me, per la lotta di mesi fa.

— Vorrò vederla!

— In ogni caso, al Municipio andremo di sera, tardi...

— Festa di famiglia, hai detto l’altra volta. Ora che quel disgraziato ha celebrato anche il matrimonio religioso, Tindaro non vorrà più tener duro con sua figlia.

— È in rottura anche con me, per gli scavi che non gli ho permesso di fare a Casalicchio.

— È in rottura con tutti quel matto! Suo figlio già ritorna da Firenze ammalato, pare, di tisi. Povero giovane! Chi sa che stravizi ha fatto!... Basta: non dovremo far ridere la gente. Questo matrimonio sarà una bella occasione per riconciliare tutti.

— Lo pensavo anch’io, zia. In quanto ai vestiti e al corredo per Zòsima....

— Lascia fare a me. Mi metterò d’accordo io con la signora Mugnos. Eccellente persona, ma un po’ orgogliosa, o meglio, di troppo delicato pensare. So io come prenderla, per non offendere il suo amor proprio.

— Sì, zia. Verrò qui domani; a che ora?

— Ti manderò a chiamare io.