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come un fulmine, tra le siepi di fichi d’India, entrarono rumorosamente nella corte; e il massaio, uscito incontro al padrone dal ripostiglio a pian terreno, non potè trattenersi dall’esclamare sotto voce: — Povere bestie!
Il marchese saltò giù dalla carrozza, fosco, con le sopracciglia corrugate e rispose appena con un cenno della testa al saluto del massaio. Andò difilato allo stabile dell’Agricola, fece spalancare tutte le finestre, e si aggirò lentamente per quegli stanzoni, osservando le macchine, i coppi, le botti; provando un senso di malinconia davanti a quegli strettoi, a quei pigiatoi, a quelle macchine, ancora non adoprate e che in quel punto gli pareva non sarebbero mai arrivate ad essere adoprate; davanti a quelle botti, a quei coppi vuoti e che gli pareva egualmente non sarebbero mai arrivati ad essere riempiti.... Perchè questo scorato presentimento? Non sapeva spiegarselo.
Uscì fuori, oltre la cinta degli eucalitti, su la linea dei seminati che già incominciavano a ingiallire. Mai egli non aveva visto tale meraviglioso spettacolo di sano rigoglio. Le spighe si piegavano in cima dei pedali del grano così alti da nascondere un uomo a cavallo che si fosse inoltrato in mezzo ad essi; e i seminati si stendevano, a perdita d’occhio, da ogni parte della pianura, ondeggiando dolcemente fino a piè delle colline attorno a Ràbbato. Là i vi-