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Ed ecco don Aquilante, per parlargli delle pratiche di un altro prestito di cui il marchese lo aveva incaricato settimane addietro, di una ventina di mila lire con ipoteca su Casalicchio, giacchè le settanta mila del Banco di Sicilia erano state ingoiate dalla fabbrica di Margitello, dalle macchine, dalle botti e dai coppi.
— Marchese, andiamo adagio! — gli disse don Aquilante. — Non tocca a me darvi consigli. Ma io conosco i miei polli. Facciamo! Facciamo! da noi significa: Fate! Fate!
— C’è un atto di Società, bollato e registrato....
— Lo so.... Alle strette, poi, se doveste mettervi a far liti.... vedreste, marchese, che cosa vi rimarrebbe in mano: un pugno di mosche.
— Lo stabile, le macchine, ogni cosa....
— Che ne farete?
— Ciò che ne faremo ora. Le venti mila lire, dunque?
— Sono pronte, al sette per cento; impossibile per meno. Quel canonico è un gran strozzino, quantunque servo di Dio!
— Allora sarà meglio ricorrere di nuovo al Banco di Sicilia. Pago a rate, in vent’anni.
— Forse.
Don Aquilante si voltò tutt’a un tratto indietro come se qualcuno lo avesse chiamato.
— Che c’è? — domandò il marchese.