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assetto. Ma, finalmente, gli strettoi con le grosse viti e le madreviti di acciaio luccicavano, quasi fossero d’argento, di faccia alle màcine piccole e svelte; i coppi protendevano, torno torno, la pancia verniciata; le botti, insediate sui sostegni di pietra intagliata, si allineavano in ordine digradante, dalla botte grande ai bottacci e ai bottaccini con le cannelle e gli zaffi sporgenti.

— La chioccia coi pulcini! — aveva esclamato il massaio, ammirando.

E l’immagine era piaciuta al marchese che l’aveva ripetuto all’ingegnere.

Quando tutto fu in ordine e gli stanzoni sgombrati, spazzati, parevano più larghi, più luminosi, quasi una chiesa da farvi le sacre funzioni, secondo un’altra immagine del massaio (l’altar maggiore era la botte grande ed egli avrebbe voluto celebrarvi la messa cantata allorchè essa sarebbe stata piena del vero sangue di Cristo!); i soci dell’Agricola vennero invitati a un pranzo di inaugurazione dei locali, e alla tavola, rizzata fra gli strettoi e le macine, mancò soltanto il cugino Pergola, a cui gli strapazzi per le elezioni avevano fatto gonfiare le tonsille come spesso gli accadeva.

Giornata di grandissima soddisfazione pel marchese, che in quell’occasione battezzava la botte grande col nome di Zòsima tra i brindisi di augurii e gli applausi dei commensali.