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trionfo, una follìa di vegetazione fin nei terreni più ingrati, che non avevano mai prodotto un fil d’erba!

I ciglioni dello stradone sembravano due interminabili siepi folte di maravigliosi fiori gialli, rossi, bianchi, azzurri, che si rizzavano su giganteschi steli tra foglie di smeraldo, come se un’esperta mano di giardiniere avesse pensato a mescolare i colori e le loro sfumature per produrre effetti di sorprendente decorazione. Ed erano erbe selvatiche senza nome, che s’intrecciavano, si pigiavano, non lasciando il minimo spazio tra loro, sorridenti, smaglianti al sole che le vivificava dall’alto.

E i seminati! Un tappeto di velluto verde che non finiva più, cosparso di macchie rosse dai papaveri, punteggiato di ricami cilestrini e violetti dalle iridi. E qua i papaveri dilagavano in larghe chiazze sanguigne; là, i fiori del lino coprivano liste e quadrati col loro tenero azzurro argentato; e dappertutto, miriadi di farfalle che s’inseguivano con ali tremolanti, piccole, grandi, di ogni forma e colore, quali non se n’erano mai viste, quante non se n’erano mai dischiuse dalle crisalidi e dai bozzoli a memoria di uomo!

Le mule della carrozza trottavano allegramente, e gli stormi dei piccioni di Margitello, incontrati alla svolta della carraia, tornavano addietro, verso il casamento con rapido fruscìo d’ale, quasi ad annunziare colà la visita del padrone.