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— Germoglia a vista d’occhio; sembra che scoppi! — rispose il marchese.
— Era tempo! — esclamò la baronessa.
Cristina non diceva niente. Si era seduta vicino ai seggioloni dove i due superstiti canini della baronessa stavano accovacciati coi musi appoggiati sul piano imbottito e con gli occhi socchiusi, e ne accarezzava con una mano le teste che mostravano di gradire assai la carezza, tremando leggermente ed abbassandosi sotto la mano.
Intanto il marchese, tratta un po’ in disparte Zòsima, le diceva quasi sottovoce:
— Voglio giustificarmi.
— Di che cosa?
— Di quel che voi sospettate.
— Non sospetto niente; temo. È naturale.
— Non dovete temere di nulla.
Guardandola e sentendola parlare, egli riconosceva più chiaramente il suo torto; e le parole di una volta: — Questa è la donna che ci vuole per me! — gli ronzavano nel cervello come un rimprovero.
— Un po’ di pazienza — riprese. — Qualche altro mese ancora. Voglio liberarmi dall’ingombro di parecchi affari. In certi giorni, ho una specie di stordimento, tante sono le cose a cui mi tocca di badare. Dovrebbe farvi piacere questa febbre di attività, dopo il mio balordo isolamento.