Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/217


― 213 ―


Il marchese si era poi dato piena spiegazione del fatto; ma l’impressione improvvisa era stata così forte che egli aveva potuto vincerla a stento durante la giornata.

Un altro giorno, entrato nella cameretta dove si era rinchiuso per tirarsi una revolverata alla tempia, gli era tornata in mente la scena avvenuta là fuori tra lui e la Solmo corsa a cercarlo colà. E gli era parso di rivedersela davanti, con quegli occhi accesi che lo scrutavano, mentr’ella gli diceva: — Non sono più niente per voscenza! Mi scaccia come una cagna arrabbiata. Che ho fatto? Che ho fatto? — Se non che ora gli sembrava di non aver notato allora la terribile espressione di quegli occhi che forse volevano dirgli: — Io so! Ma taccio! E voscenza lascia credere che ho fatto ammazzare io Rocco Criscione?... Io so! Ma taccio! —

Sospetto che non gli era passato mai per la testa. Perchè gli spuntava in mente ora? Le brevi lettere che di tanto in tanto ella gli faceva scrivere quasi per rammentargli che era viva, non significavano forse: — Io so! Ho taciuto finora; ma potrei parlare. Non mi disse, ricorda voscenza? meglio per te e per me se lo avessi fatto ammazzare tu? Che intendeva? — Gli era parso di sentirla parlare così!

Anche quel giorno avea dovuto stentare per vincere l’ossessione dell’orribile sospetto. E per ciò e