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— Mi perdoni.... voscenza!... Me ne vado....
E don Silvio non potè proseguire, sopraffatto dalla tosse.
Vedendolo avviare verso l’uscio, il marchese lo fermò pel braccio:
— Perchè siete venuto?... Che volevate da me?... Perchè siete venuto?
— Pei poveretti, marchese! Non ho saputo esprimermi.
— Ci sono soltanto io a Ràbbato? Ho dato assai. Troppo! Troppo!... Sono già dissanguato.
— Si calmi!... Non ha obbligo....
— Eh?... Siete stato voi che avete detto al prevosto Montoro...?
Gli si era piantato davanti, ringhiando le parole, fissandolo negli occhi.
— Che cosa? — domandò timidamente don Silvio.
— Che cosa? Gli dava noia in casa quel Crocifisso al marchese!
— E ha potuto supporlo? Oh, voscenza! Io, anzi, ho lodato il bell’atto che toglieva quella sacra immagine da un posto non degno.
— Non degno?
— Certamente; il suo degno posto era l’altare.
— Perchè dunque or ora dicevate: Mi manda Gesù Cristo?.... Mi avete scambiato per una donnicciuola, mi avete scambiato?
— Ha ragione! Sono parole piene di superbia