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spalancò poi la vetrata e si affacciò al terrazzino. Don Aquilante lo raggiunse.

Dietro le nuvole diradate e sospinte dal vento, sembrava che la luna corresse rapidamente pel cielo. Al velato chiarore lunare i campanili, le cupole delle chiese di Ràbbato si scorgevano nettamente tra la bruna massa delle case affollate nell’insenatura della collina.

Tutt’a un tratto, il vasto silenzio fu rotto da una roca voce che gridava quasi imprecando:

— Cento mila diavoli al palazzo dei Roccaverdina! Oh! oh! - Cento mila diavoli alla casa dei Pignataro! Oh! oh! - Cento mila diavoli alla casa dei Crisanti! Oh! oh!

— È la zia Mariangela, la pazza! — disse il marchese. — Ogni notte così.

E il grido riprendeva, roco, con una specie di cantilena feroce.

— Suo marito la tiene incatenata come una bestia — rispose don Aquilante. — Dovrebbe immischiarsene l’autorità; farla rinchiudere in un manicomio.

La pazza tacque.

Il vento aveva già spazzato le nuvole. Il temporale si era già allontanato, con gli stessi lampi che incendiavano un largo spazio di cielo, verso Aidone, dietro le colline di Barzino.

— Sempre così! Sarà un gran guaio anche que-