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devano di consegnargli una lettera e di parlare con lui.

Li squadrò mentre apriva la busta.

Vestiti da festa, con camicia di grossa tela candidissima sotto il bianco corpetto di frustagno casalingo, ornato di fitti bottoncini di madreperla; giacchetta di albagio nero con maniche attillate; calzoni della stessa stoffa, a ginocchio, dall’orlo dei quali scappavano i lembi delle mutande; calze di lana grigia, e calzari a punta, di pelle suina, legati con corregge di cuoio incrociate attorno al collo del piede, quei due, un vecchio e un giovane, parevano intimiditi dalla circostanza di trovarsi al cospetto del marchese di Roccaverdina.

— Di che si tratta? La lettera non spiega nulla — egli disse.

— Vostra eccellenza scuserà l’ardire, — balbettò il vecchio. — Questi è mio figlio.

— Me ne rallegro con voi; bel pezzo di giovane!

— Grazie, voscenza! Abbiamo detto: — È giusto richiedere prima il permesso al padrone. — I grandi meritano rispetto. Noi non vogliamo offendere nessuno.... Se voscenza acconsente....

— Spiegatevi.

Si vedeva che non era facile spiegarsi perchè padre e figlio si guardarono negli occhi, invitandosi l’un l’altro a parlare.

— Siamo di Modica, eccellenza — riprese, esitante,