Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/137


― 133 ―

che lo ascoltava socchiudendo gli occhi, tirandosi su, col solito movimento delle mani e del ventre, la cintura rilasciata dei calzoni, approvando con la testa, senza pronunciare un monosillabo.

— Ho ragione?... Che ne dite? — strillò, all’ultimo, il marchese.

Era impazientissimo; quasi le obbiezioni dell’ingegnere ritardassero i lavori e potessero mettere qualche impedimento alla rinnovazione della sua vita che quel matrimonio doveva iniziare.

E pochi giorni dopo, la casa era piena di operai che buttavano giù pareti intermedie, smattonavano pavimenti, abbattevano vôlte reali; di ragazzi che ammonticchiavano i calcinacci ai lati del portoncino, donde li portavano via i carrettieri, di mano in mano, per non ingombrare il viale che conduceva alla spianata del Castello.

Impolverato peggio dei manovali, il marchese andava da un punto all’altro dando ordini, gridando come un ossesso se si vedeva mal capito, togliendo di mano il piccone a un operaio se questi esitava nel dare i colpi per paura di vedersi crollare addosso un pezzo di muro:

— Così, animale! Debbo insegnarti io il tuo mestiere?

E la domenica appresso, non avendo chi sgridare nè di che occuparsi, sentì con piacere che due forestieri, pecorai a giudicarli dall’apparenza, chie-