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ronessa — rispose Zòsima. — Siamo abituate.... Ormai!

— Ah, tu con questo: Ormai!

— La zia mi ha tolto di bocca quel che stavo per dire. Perchè: — Ormai! Ormai! — Perchè?

— Perchè è così! — disse Zòsima tristamente.

Dai seggioloni dov’erano accovacciati, due canini ricominciarono a tossire con rauchi scoppi.

— Senti? — disse la baronessa al marchese. — Tossono da quattro giorni, poveretti! Non si muovono più dalla cuccia.

— Sono vecchi, zia.

— Gli altri due li tengo in camera mia; ho paura che si contaggino. Questi bevono appena un po’ di latte caldo. Se morissero, nepote mio, sarebbe malaugurio per me!

— Dicevate la stessa cosa anni fa, quando morirono prima Bella e poi Fifì.

— Senti? Senti? Mi strappano l’anima.

Zòsima lo guardò sorridendo benignamente del gesto della baronessa che aveva portato le mani alle orecchie per non sentire i rauchi scoppi di tosse.

Ed egli andò via con la soave impressione di quel sorriso che gli illuminò il cuore parecchi giorni.