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però in India un figlio dell’ucciso, di nome Behmen, il quale, mal comportando che Ardeshîr regnasse, manda alla sorella nascostamente un veleno da propinarsi al re. La regina porge il veleno ad Ardeshîr in una coppa, e il re la prende, ma nel prenderla essa gli cade di mano. Ardeshîr, presone sospetto, fa condurre alcune galline che, assaggiato il veleno, muoiono. La regina, benchè incinta, è condannata a morte e un sacerdote è incaricato della esecuzione della condanna. Egli però la risparmia, la tiene in sua casa, laddove essa poco stante partorisco un figlio, a cui viene imposto il nome di Shâpûr. Ardeshîr, un giorno, si lamenta col sacerdote di non aver figli e di essere perciò molto infelice; ma questa sua tristezza cambiasi all’improvviso in gioia, allorquando il sacerdote, con le prove più chiare, gli fa conoscerò il figlio suo Shâpûr ch’egli aveva educato. Shâpûr è ricevuto in corte con ogni onore e fatto istruire dal felice padre in ogni cosa bella a sapersi. Ardeshîr intanto fa interrogar Kayd, il principe d’India, intorno alla sorte del suo regno.

Shâpûr, cresciuto negli anni, s’aggira un giorno per la campagna e giunge ad una villaggio laddove, arso dalla side, chiedo da bere ad una vaga fanciulla che sta attingendo acqua ad un pozzo. Egli se ne invaghisce e la sposa. Era essa la figlia di Mihrek, borgomastro del villaggio; e frutto del suo matrimonio con Shâpûr è un fanciullo a lui viene imposto il nome di Ormuzd. Re Ardeshîr, intanto, di cui si loda l’altissima prudenza, compone un libro di consigli per l’amministrazione del regno, porge gli ultimi suoi consigli a Shâpûr e muore poco stante.

Seguono diversi re dei quali l’epopea non narra