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d’Oriente egli vede nuove meraviglie; sopra un monte, in uno splendido palazzo, ritrova un morto che gli predice la sua vicina morte; interroga gli alberi parlanti che gli ripetono la predizione, aggiungendo ch’egli non rivedrà mai più la madre sua. Tristo e dolente, Iskender si volge verso la Cina e reca, in qualità di messaggiero, una sua lettera a quell’Imperatore.

Segue il viaggio d’Iskender verso il Mezzogiorno; e primieramente egli fa la guerra agli abitanti del Sind, poscia discende nel Yemen e di là muove verso Babilonia, dopo aver trovati in una città i tesori dell’antico re Khusrev. Entrato in Babilonia, egli scrive una lettera al suo maestro Aristotele e un’altra alla madre sua, ma poi, preso da improvviso malore, muore ancor giovane, e i suoi principi gli danno sepoltura in Iskenderiyeh (Alessandria). Essi, insieme alla madre e alla sposa di lui, ne piangono la morte immatura.

A questo punto Firdusi interrompe ancora per un poco il racconto per lamentarsi della sua trista sorte e per far le lodi del Sultano Mahmûd.

I re Ashgâni. — Di questi re, degli Ashgâni cioè o Arsacidi, Firdusi non ci sa dir nulla. Egli afferma che passarono duecento anni, nei quali non pareva che vi fosse un re nell’Iran. Non potendo adunque narrarne nulla, il poeta si appaga di darne i nomi che sono: Ashk, Shâpûr, Gûderz, Bîzhen, Nersî, Ormuzd, Arish, Ardevân, che aveva un suo luogotenente, di nome Bâbek, in Istakhar.

Firdusi non trovò nulla intorno a questi re nelle fonti a cui egli attingeva, e anche la loro storia è molto incerta e oscura.

Intanto, Bâbek, il luogotenente di Ardevân in

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