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preso, il re del Kàbul, in un convito, alla presenza dei principi e dei grandi, chiama vile e dappoco Sheghâd; e perchè Sheghâd si vanta di aver per padre Zàl e per fratello Rustem, il re del Kàbul anche di questi si fa giuoco e belle. Sheghâd allora, fingendo gran disdegno, lascia il convito e con alcuni amici suoi si reca nel Zâbul laddove a Rustem racconta ogni cosa accaduta.
Rustem ne concepisce altissimo disdegno e promette al fratello di vendicarlo. Già egli raccoglie i suoi guerrieri, ma Sheghâd gli fa intendere che meglio sarà se verrà con pochi, e Rustem bonariamente lo compiace. Intanto il re del Kàbul ha fatto scavare in un luogo da caccia molte fosse profonde armate di punte di ferro e ricoperte a sommo di erbe e di paglia. All’arrivo di Rustem, egli muove umilissimamente al suo incontro, si toglie dal capo la tiara indiana, si leva le scarpe dai piedi e si prostra al suolo, chiedendo perdono. Rustem non solo perdona, ma anche accetta con gioia l’invito di recarsi a cacciare con lui. Appena egli è entrato nel luogo della caccia, Rakhsh che sente l’odor della terra sconvolta di fresco, s’impenna atterrito, ma Rustem lo sprona innanzi e cade in una profonda fossa ferendosi mortalmente. Egli però ha tanta forza ancora da riguadagnare l’orlo della fossa e riveder la luce; là vede il fratel suo Sheghâd che si ride di lui, che si confessa autore del reo inganno e dichiara ch’egli ha fatto ciò per vendicar tanti che Rustem nella sua Lunga carriera ha uccisi. Rustem chiede a Dio tanto di forza almeno da punir l’orribile delitto, indi, con quell’unica freccia che gli restava, trafigge Sheghâd che tremante si era nascosto nel cavo