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mar di Cina; chi però adoprerà quel ramo come arma in guerra, sarà infelice in questa vita e dannato nell’altra. Rustem, piuttosto che coprirsi di vergogna, accoglie bramoso la proposta del Sîmurgh, dal quale è guidato quella notte stessa sulle sponde del mar di Cina. Là egli coglie quel ramo, ne forma una freccia, e con quella, al mattino, si presenta da Isfendyâr per combattere con lui. Isfendyâr è ferito in un occhio (sola sua parte vulnerabile) da Rustem con la portentosa freccia e muore sul campo dopo aver lamentato il suo destino e raccomandato con molte preghiere il figlio suo Behmen al vecchio eroe, che assiste piangendo al suo trapasso. Beshûten, altro figlio di Isfendyàr, con molto pianto ne reca la bara al re Gushtâsp. Nell’Iran è immenso il cordoglio per la morte del giovane eroe. Rustem intanto fa per lettera le sue scuse al re Gushtâsp, che gli risponde accusando piuttosto il destino che il vecchio guerriero d’ogni sua sventura, e richiama a se Behmen che Rustem aveva intanto educato.

Ma ormai anche Rustem deve soggiacere al comune destino. — Nasce a Zàl, nella sua tarda età, un figlio, a cui viene imposto il nome di Sheghâd e del quale gl’indovini predicono le cose più triste. Zàl lo manda a educare presso il re del Kabul, il quale gli pone tanto affetto, che, quando il fanciullo è giunto a pubertà, gli dà in isposa una sua figlia.

Ma poichè il re del Kabul era obbligato ogni anno a mandare a Zàl come tributo un cuoio di bue in segno di sua inferiorità, così egli s’accorda con Sheghâd sul modo di liberarsi da quella gravezza. Anche Sheghâd è geloso della gloria del fratello. Pertanto, dietro accordo