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Rustem, allora, da una parte e Isfendyâr dall’altra convengono sulle sponde dell’Hirmend a parlar fra loro; e il primo si mostra ossequioso e modesto dinanzi al figlio del suo re e lo invita alla sua casa, mentre Isfendyâr si ricusa di accettar quell’invito e comanda a Rustem, benchè a malincuore, di prendersi da lui le catene e di presentarsi a re Gushtâsp. Rustem ricusa tra lo sdegnoso e l’afflitto l’oltraggiosa proposta e ritorna presso di Zàl nel suo castello. Di là egli ritorna ancora presso di Isfendyàr a lagnarsi con lui perchè egli non gli ha fatto alcun invito ospitale, e Isfendyâr se ne scusa; segue però un lungo diverbio nel quale e l’uno e l’altro eroe viene magnificando la propria nascita e i proprii fatti di valore, mentre ciascuno vorrebbe attenuare i meriti dell’altro. Alla fine però ambedue, per un momento rappacificati, stanno insieme per alcun tempo a mensa bevendo del vino e favellando amichevolmente e promettendosi di provarsi con le armi, finchè Rustem ritorna al suo castello e là egli racconta ogni cosa a Zàl e al fratel suo Zevàreh.
Al dì che segue, si appicca la battaglia, e nella mischia cadono trafitti due dei figli d’Isfendyâr, Nùsh-àzer e Mihr-i-nùsh. Ma Rustem è sopraffatto dal valore del suo avversario e fugge sopra un monte. Alla dimane egli ritornerà alla battaglia. Isfendyâr, intanto, piange la morte dei suoi due figli e ne invia a Gushtâsp la bara, mentre Rustem, nella notte, desideroso di vincere l’avversario, col padre suo prega di aiuto il Sîmurgh, l’antico protettore della loro casa. Il divino augello appare improvvisamente e dichiara che la vita d’Isfendyâr dipende da un ramo di terebinto che cresce sulle sponde del