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Afrâsyâb supplica Hôm di rallentare i suoi nodi; ottenuto ciò, egli si scioglie e si getta nel lago di Khangest o Cèciast e sparisce in quelle acque. Gûderz, intanto, passava da quelle parti; udito il racconto di Hôm, ambedue si recano da Kâvus e da Khusrev che allora stavano adorando in un tempio del fuoco. Anche là, Hôm racconta il fatto e consiglia a re Kâvus e a Khusrev di menar sulle sponde del lago il fratello stesso di Afrâsyâb, Garsîvez cioè, ora prigioniero, e di batterlo duramente, acciocché Afrâsyâb, udendo i lamenti del fratello, esca dalle acque. Ciò succede appunto come Hôm aveva predetto. Afrâsyâb è nuovamente preso nel laccio, è trascinato ai piedi di Khusrev che non ascoltando alcuna preghiera, gli recide il capo di propria mano. Anche a Garsîvez tocca la stessa sorte, e così è vendicata la morte di Siyâvish.

Il re Kâvus muore poco stante, e Khusrev, dopo aver resa la libertà a Gihn e dopo averlo posto a regnare nel Turan in luogo di Afrâsyâb, temendo di aver troppo duramente vendicata la morte di Siyâvish, perchè Afrâsyâb era pur sempre il padre della madre sua, si ritira a vita solitaria, dedito interamente a pratiche religiose. I grandi del regno chiedono udienza, e il re vien loro esponendo le ragioni di ciò ch’egli fa. Rustem e Zàl, invitati da essi, vengono dal Segestân e fanno loro rimostranze a re Khusrev, ma invano. Egli però, già prima, aveva avuto in sogno la rivelazione della sua vicina morte; e perciò, dopo aver risposto alle rimostranze dei principi e accolte le loro scuse, lasciati a tutti i suoi paterni e amorevoli consigli e designato Lohrâsp, della discendenza di Pishîn figlio di Kobâd, per suo successore, egli dà a tutti l’estremo addio.