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di Pîrân, il finto mercante si vede accostare una timida giovinetta che gli chiede se mai nell’Iran è giunta notizia dell’infelice prigioniero. Rustem, da principio, finge di non intender nulla, ma soltanto consegna alla mendica un pollo arrostito, dentro al quale egli nasconde il proprio anello, da darsi al prigioniero. Bîzhen ritrova l’anello, intende che Rustem è venuto, e Menîzheh, dietro suggerimento dello stesso Bîzhen, ritorna da Rustem a domandargli s’egli è il cavaliero di Rakhsh. Rustem, all’udire il nome del suo destriero, si dà a riconoscere e ordina alla fanciulla di accendere sul monte un gran fuoco che serva di guida a lui, per la notte, fino alla caverna. Così Rustem, con alcuni suoi fidi, giunge di notte all’orrido speco, smuove la pietra immane che lo chiudeva, e ne trae Bîzhen, col quale poi e con gli altri dà un terribile assalto, nelle tenebre della notte, alla reggia di Afrâsyâb. Afrâsyâb, il giorno appresso, insegue Rustem, ma è sconfitto da lui. Il prode guerriero allora, con Bîzhen e con Menîzheh, ritorna nell’Iran, laddove è ricevuto con grandissima festa da Khusrev, mentre si celebrano le nozze dei due giovinetti che tanto hanno sofferto per il loro amore.
Ma l’audace assalto di Rustem fa sì che Afrâsyâb ripigli con rinnovato ardore le armi e meni un esercito contro l’Iran. Questa volta Khusrev invia con le sue schiere il prode Gûderz, il quale, giunto di faccia all’esercito turanio, cerca di ricomporre la gran contesa senza spargimento dì sangue. Pîrân, il capitano dei Turani, sembra che voglia accettare, ma ciò è soltanto per guadagnar tempo e per darne avviso ad Afrâsyâb. Gli eserciti così stanno lungo tempo inoperosi l’uno in faccia