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stanze di Menîzheh laddove essa, con trecento ancelle, in compagnia di Bîzhen, celebrava una festa. Bîzhen che vorrebbe resistere, è preso e condotto al cospetto di Afrâsyâb che lo condanna ad essere appeso. Già si rizza il tristo legno del supplizio, quando giunge all’improvviso il nobile Pîrân che fa sospendere l’esecuzione della condanna e domanda e ottiene da Afrâsyâb la vita dell’infelice. Egli però è condannato dal fiero principe ad essere rinchiuso, carico di ceppi, in un orrido speco fra montagne inaccessibili. L’apertura dello speco dovrà essere rinchiusa con l’immane pietra che chiudeva già la caverna del Dêvo Arzheng. Menîzheh intanto, discacciata dal padre, va limosinando per le ville per provvedere di uno scarso cibo il proprio amante imprigionato.

Gurghîn, intanto, ritornato solo nell’Iran, non sa render conto del suo compagno; i suoi discorsi confusi e incerti lo tradiscono, e Khusrev lo fa rinchiudere in carcere. Non sapendosi però in qual parte della terra sia nascosto Bîzhen infelice, re Khusrev, dietro preghiere del desolato padre di lui, con grandissima pompa e solennità si pone ad osservare una sua miracolosa coppa nella quale si vedono manifesti tutti i secreti del mondo. E infatti, nella coppa, si vede Bîzhen imprigionato nella caverna nel Turan, custode a lui una leggiadra fanciulla, in atto dolente e disperato. Ghêv allora, con una lettera di Khusrev, parte per il Segestân a chiedere soccorso a Rustem, e Rustem che tosto si reca nell’Iran, è accolto con grandissima festa da Khusrev, intercede il perdono per Gurghîn e parte per il Turan, travestito da mercante, a rintracciarvi Bîzhen.

Poste le sue merci in vicinanza d’un castello