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per la novella impresa; Afrâsyâb, giunto improvvisamente in quei paschi solitari, è messo in fuga da Rustem e il Dêvo Akvân è messo a morte. Il prode guerriero ritorna al suo castello, carico di doni.

Intanto, alcuni poveri abitanti d’Irmân vengono a chieder soccorso perchè un branco di feroci cinghiali devasta tutti i loro campi. Khusrev promette ricchissimi doni a chi andrà a quella impresa, ma tutti i principi presenti si ricusano, eccetto il giovane Bîzhen, figlio di Ghêv. Egli andrà, benchè contro la voglia del padre, e gli sarà compagno Gurghîn, figlio di Mìlàd. Arrivato Bîzhen a quei luoghi d’Irmân, mena orribile strage dei cinghiali; ma Gurghîn che è testimone del valore di lui e ne concepisce secreta invidia, cerca modo di perderlo. Dettogli pertanto che in quei luoghi suol venire a celebrar la festa della primavera una bella compagnia di vaghe fanciulle del Turan, egli lo persuade ad inoltrarsi nella selva; e Bîzhen si adorna delle vesti sue più belle e va, finchè gli si mostra in un prato un’accolta di bellissime giovinette. A capo di esse sta Menîzheh, la figlia di Afrâsyâb, la quale, avendo visto dalla sua tenda quel vago garzone, manda la nutrice sua ad invitarlo. Bîzhen è accolto nella tenda con grandissima festa; Menîzheh s’invaghisce di lui e pensa rapirlo; datagli perciò una sonnifera bevanda, Bîzhen si addormenta e dalle fanciulle è trasportato celatamente in un palanchino, coperto da un velo, nelle stanze di Menîzheh, nel palazzo stesso di Afrâsyâb.

Ma tosto se ne dà avviso al padre e Garsîvez è mandato a sorprendere il creduto seduttore. Garsîvez circonda il palazzo, entra a forza nelle