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Una notte, Pîrân vede in sogno l’anima di Siyâvish che gli annunzia esser nato il figlio suo. Accorre egli al letto di Ferenghîs, e là egli ritrova già nato il piccolo Khusrev, figlio postumo di Siyâvish, con manifesti i segni dell’alto suo nascimento. Ma Afrâsyâb, udito quell’annunzio, si ricorda che gli era stato predetto che la morte gli sarebbe venuta da un figlio che sarebbe disceso dalle due case regnanti del Turan e dell’Iran, e perciò vorrebbe far morire il pargoletto. Vinto però dalle preghiere di Pîrân, lo fa nascondere con la madre presso alcuni rozzi pastori del monte Kalv, laddove egli non doveva saper nulla del suo nascimento reale.

Firdusi, a questo punto, interrompe per poco il suo racconto per lagnarsi della sua grave età e per chiedere a Dio di poter compiere il Libro dei Re.

Intesasi nell’Iran la morte di Siyâvish, un tardo dolore e un tardo pentimento prendono gli animi di tutti, e Rustem, accorso improvvisamente dal Segestân, sotto gli occhi stessi di re Kâvus, senza che egli osi far motto, uccide l’empia Sûdâbeh, cagione di tanta sventura. Egli poi, col figlio suo Ferâmurz, mena un esercito nel Turan; Veràzàd, principe del Sipengiàb, cade per il primo, e Afrâsyâb manda tosto il figlio suo, Surkheh, che è preso e poi ucciso da Rustem. Afrâsyâb, per vendicare il figlio suo, accorre con grande esercito, ma poi, dopo aver visto cadere Pîlsem ucciso da Rustem, prende vergognosamente la fuga. Giunto in luogo sicuro, egli interna nel Khoten il piccolo Khusrev, figlio di Siyâvish, mentre Rustem va devastando il Turan, finchè poi, per non lasciare senza difesa il suo re, egli con tutti i suoi ritorna nell’Iran.