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cuse il prode guerriero che ritorna sdegnato nel Segestân, e per lettera ordina a Siyâvish o di proseguir la guerra o di venire da lui a chieder perdono e a scolparsi, consegnando le schiere a Tûs, latore del messaggio reale.

Siyâvish allora, non volendo mancare alla data fede nè presentarsi dinanzi al padre come colpevole, consigliatosi con Behràm e con Zengheh, suoi intimi amici, si determina a domandar asilo presso di Afrâsyâb. Afrâsyâb accoglie con giubilo l’inattesa domanda, e il giovane infelice, partecipato per lettera al padre questo suo divisamento, si reca alla reggia del principe del Turan, accoltovi con grandissimo onore. Egli è tosto invitato agli esercizi della palestra, alla caccia, a ogni specie di sollazzi, e dovunque egli si guadagna gli animi di tutti per il suo valore e per la sua modestia. Pîrân, principe di Khoten, l’intimo consigliere di Afrâsyâb, gli dà in isposa la propria figlia, la leggiadra Gerîreh; indi, per raffermar meglio Afrâsyâb nell’amore per il giovane iranio, propone e ottiene che Afrâsyâb stesso gli dia in isposa la figlia sua Ferenghîs. Celebrate le nozze con grandissima pompa, Afrâsyâb assegna a Siyâvish una parte del suo dominio, laddove egli fabbrica una splendida città, di nome Kang-dizh, alla quale ne tien dietro un’altra che, dal nome del fondatore, viene appellata Siyâvish-ghird.

Intanto Garsîvez è mandato da Afrâsyâb a Kang-dizh. Ma Garsîvez è invidioso della gloria di Siyâvish; a Kang-dizh, nei giuochi della palestra, già egli mostra il suo mal animo contro il giovane principe, e tosto, appena tornato da Afrâsyâb, glielo dipinge come colui che è soverchiamente potente e che desidera impadronirsi