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Kâvus manda a chiamar Rustem in fretta, e Rustem e Sohrâb, senza conoscersi, si trovano ora a fronte l’uno dell’alto.

Il combattimento si fa a più riprese, e Rustem si sente inferiore dinanzi al terribile avversario. Sohrâb già crede di veder nel nobile guerriero il padre suo, e domanda ripetutamente s’egli è Rustem; ma Rustem nega insistentemente. Che anzi, al giorno appresso, egli ritorna al combattimento con rinnovato ardore e in disperato assalto trafigge il giovane suo nemico.

Sohrâb, appena caduto, grida ad alta voce che Rustem, il padre suo, vendicherà la sua morte, e Rustem, colpito a quelle parole, domanda al ferito s’egli ha nessun contrassegno. Sohrâb gli fa aprir la tunica e gli mostra un monile ch’egli recava al braccio, nascosto sotto la veste. Quel monile era già stato dato a Tehmîneh da Rustem la sera delle sue nozze e doveva servir di tessera di riconoscimento per il figlio suo. Il misero padre, nell’estremo dolore, fa chiedere un balsamo portentoso a re Kâvus, ma Kâvus ingelosito glielo nega, e Sohrâb muore poco stante. Col dolore del misero padre che reca nel Segestân la bara dell’estinto, e con la disperazione della madre lontana, termina la commoventissima leggenda.

Intanto Tûs e Ghêv, usciti un mattino alla caccia, trovano nei boschi una leggiadra fanciulla della discendenza di Garsîvez principe turanio. Ambedue se ne invaghiscono, contendono per essa, e finalmente, recatisi alla presenza di re Kàvus, lo pregano di decider quella contesa. Ma Kàvus, preso anch’egli d’improvviso amore per la fanciulla, la ritiene per sè e la fa sua sposa. Frutto di questo connubio fu Siyâvish