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estrar l’infante dall’alvo materno. Ma il fanciullo crebbe rapidamente forte e robusto, bello e aitante della persona, e sua prima impresa fu quella di uccidere un terribile elefante bianco cbe, sciolto da’ suoi ceppi, correva furibondo per i giardini di Zàl. Prese egli ancora la rocca del Sipend, per vendicar la morte del proavo suo Nîrem, ucciso sotto quelle mura, penetrandovi con una carovana sotto le vesti di un mercante di sale, e sterminandone di notte tutti gli abitatori.

Ma ormai è giunto l’ultimo giorno di Minôcihr. Il piissimo re, dopo aver dati savi ammonimenti e consigli al figlio suo Nevdher, muore placidamente, compianto da tutti.

Il re Nevdher. — Il re Nevdher poco trae profitto dai consigli del padre suo. Mangiare, bere e dormire sono le sue gradite occupazioni; gl’Irani ne sono altamente scandalizzati, e Sàm, invitato dal re dal Segestân, soffoca un principio di ribellione e con savi consigli riconduce il fuorviato re sul diritto sentiero. Ma di ciò si ha qualche sentore nel paese dei Turani, laddove pur vive il fiero Pesheng, figlio di Zàdshem e discendente di Tûr che fu ucciso da Minôcihr. Egli ricorda le antiche offese e manda un esercito nell’Iran, guidato dal suo superbo e tracotante figlio, Afrâsyâb. Le sorti della guerra non sono favorevoli agli Irani; muore il prode Kobâd ucciso dal turanio Bàrmàn, e in una seconda battaglia Nevdher è sconfitto. A un terzo scontro, il re degl’Irani è vinto ancora e trova rifugio nel Dehistân. Di là egli vorrebbe ritornare in Persia, dov’è la sua residenza reale, ma nell’andare è catturato da Afrâsyâb. Invece, un esercito di Turani, mandato da Afrâsyâb contro