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Segestân, ebbe un figlio che era nato coi capelli bianchi. Temendo che quello fosse un segno infausto di Ahrimane, egli fece esporre sul monte Alburz il fanciullo ancor lattante, che vi sarebbe perito, se il Sîmurgh, favoloso augello di quelle montagne, non l’avesse allevato nel suo nido. Ma un terribile sogno ammonisce il padre crudele e gli fa intendere che il figlio suo vive ancora. Sàm allora, recatosi al monte Alburz, vi ritrova il figlio suo che era cresciuto forte e robusto, e lo riconduce alla sua casa, indi alla reggia di Minôcihr, laddove l’oroscopo che se ne trae, predice le più belle cose sul suo conto. Ritornato al suo castello nel Segestân, Sàm fa educare con ogni cura il figlio suo, e un giorno che egli deve partir per la guerra, lo affida alla custodia dei suoi maestri.

Ma Zàl (poichè questo fu il nome del figlio di Sàm), aggirandosi per il paterno dominio, arriva un giorno alla terra di Kàbul, laddove abitava il principe Mihrâb. Della figlia di Mihrâb, della bella Rûdàbeh, Zàl s’innamora all’udirne solo parlare e Rûdàbeh s’invaghisce di lui al sentirne ricantar le lodi da Mihrâb. Alcune giovinette, mandate da Rûdàbeh a coglier rose là vicino alle tende di Zàl, entrano in colloquio con l’innamorato garzone e ne riportano le parole alla bella che attende ansiosa. I due amanti hanno più tardi un colloquio e si promettono eterna fede. Ma Mihrâb discende dall’empio Dahâk ed è idolatra, e ciò sarà grandissimo ostacolo all’unione dei due giovani. Sàm, interpellato da Zàl, resta incerto e perplesso, chiede consiglio ai sacerdoti e si reca alla corte di Minôcihr per cercarne consiglio e norma. Sindukht intanto, la madre della fanciulla, e Mihrâb vengono a conoscenza della nuova pas-