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in tutta la sua gloria, si determinò ad accompagnarne il cadavere alla sepoltura e a recitar sulla bara le preci dei defunti.

Ma, intanto, nell’animo di Mahmùd era entrato il pentimento, e già le lettere del Califfo di Bagdad e quelle di Nàsir Lak lo avevano profondamente colpito. Un giorno, anche, al luogo nella moschea, laddove egli era solito pregare, aveva trovati due distici scritti da Firdusi di propria mano prima di partire, cioè:

L’inclita reggia di Mahmùd è un mare.

Qual mar! di cui non vedesi la sponda.
S’io mi tuffai, nè perle ebbi a trovare,

Colpa fu del mio fato e non dell’onda.

Così a poco a poco entrava nell’animo del principe il sentimento della propria ingiustizia, finchè poi un giorno, punito il perfido ministro, autore della disgrazia di Firdusi, mandò a Tùs messaggieri suoi riccamente vestiti e con magnifici presenti, per invitare nuovamente alla corte lo sventurato poeta. Dicesi che la sua bara usciva appunto dalle porte della città quando s’incontrò nei pomposi messaggieri di Mahmùd. I doni del quale furono offerti alla figlia di Firdusi; ma essa rispose di non potere accettare ciò che era stato negato a suo padre. Allora, fattane la proposta da una sorella del poeta, furono costruiti pubblici edifizi in Tùs, che Nàsir Khusrev, in un suo libro di viaggi, dice di avervi veduto di fatto nel 1045. La tomba di Firdusi che fu modesta assai, si vedeva ancora al principio di questo secolo, non lungi da Tùs, secondo il Ritter, e la piccola cappella che fu innalzata alla sua