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Senza premio donar. Vesti da lui
Ebbimi e cibo ed oro e argento, e moto
Ebbi alle mani e a’ piè. Per lui non ebbi
Di catasti o d’imposte o di tributi
Alcun gravame, e qual dentro a una coltrice
Ravvolgermi io potei con cor tranquillo.

Eppure, quando Firdusi gli presentò l’intero volume del Libro dei Re, il sultano Mahmùd, nell’entusiasmo suo, ordinò che al poeta fosse donato un elefante carico d’oro. Ma il ministro Hassan Maymendi, prese sessantamila monete d’argento, quanti erano i distici del poema, le mandò a Firdusi che allora trovavasi al pubblico bagno. Firdusi, sclamando che egli non aveva sopportato così grande fatica per essere ricompensato con argento, spartì i denari del principe, dandone un terzo a chi glieli aveva recati, un terzo al bagnaiuolo, e l’altro terzo ad un giovinetto, venditor di birra, che allora passavagli accanto per caso. Preso un bicchiere e vuotatolo rapidamente, gridando che tutto il frutto del suo lavoro gli era valso quanto un bicchier di birra, gettò nel grembo del garzone che la guardava stupito, i denari.

Si sdegnò Mahmùd quando seppe l’opera del ministro, ma poi si lasciò vincere dalle insidiose calunnie di lui, e il misero poeta, rappresentato fittiziamente come settario e seguace dell’antica religione, fu condannato ad essere calpestato sotto i piedi di un elefante. Firdusi, udita la terribile sentenza, ritornò alla corte, e là, attendendo in un giardino il Sultano che di là appunto doveva passare, improvvisò alcuni versi in sua lode, al suo passaggio. Mahmùd, tocco nel cuore, gli perdonò; ma Firdusi, ben compren-