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Poi che l’inclito libro

Così venne al suo fin, del verso mio
Tutta è piena la terra. Ognun che alberga
Senno e fede e saggezza entro al suo core,
Mi loderà dopo la morte mia,
Ned io morrò più mai, ch’io son pur vivo,

Da che il seme gittai di mia parola.

E prima ancora, a metà del suo poema, aveva anche potuto dire:

Sire, un’opra fec’io che monumento

Sarà di me nel mondo. Ogni superba
Mole cadendo va del sol pel raggio
O per la piova; ma col verso mio
Tal monumento io sì levai, che danno
Da pioggie non avrà, non da procelle.
Passeranno le età su questo libro,
E il leggerà chiunque abbia nel core

Di senno un germe.

Ciò che ci richiama alla memoria quei versi di Orazio (od. III, 30);

 Exegi monumentum aere perennius,
Regalique situ Pyramidum altius,
Quod nec imber edax aut Aquilo impotens
Possit diruere.

Maintanto che Firdusi componeva il suo poema, l’animo dei cortigiani diversamente si atteggiava al suo riguardo. Lo stesso Mahmùd che prima era stato preso da così grande entusiasmo per Firdusi, ora mostravasi alquanto indifferente e poco se ne curava, quantunque ascoltasse sempre con piacere le sue letture. Dei cortigiani,