concorso. In ogni modo, Mahmùd restò stupito alla lettura dei versi del nuovo poeta, e volle tosto conoscerlo di persona e ascriverlo anche fra i poeti di corte. Dicesi che al continuar delle letture che Firdusi gli faceva de’ suoi versi, Mahmùd preso da entusiasmo esclamasse un giorno: Ma tu sei veramente un Firdusi!, — alludendo così al significato di questo nome che in persiano significa il paradisiaco. Altri dicono che il nome di Firdusi fu trovato dal Sultano stesso e imposto al poeta per designare l’eccellenza dell’arte sua. Avvenne poi che il principe, sempre più vinto da meraviglia, fece consegnare a Firdusi tutti quanti i libri dov’erano raccolte le antiche leggende, con l’ordine di porle tutte in versi; e fu convenuto che Firdusi avrebbe ricevuta una moneta d’oro per ogni distico che avrebbe composto. Al poeta fu assegnata una casetta in un giardino adorno di figure di eroi, di leoni, di tigri e d’elefanti, perchè ne eccitassero la fantasia; ed egli si raccolse in quella solitudine ad attendere al gran lavoro, mentre un giovinetto stava sempre in sua compagnia e di quando in quando toccava con mano maestra le corde d’un liuto. Di tratto in tratto Firdusi leggeva i suoi canti a Mahmùd, e i manoscritti del suo poema ci recano le miniature che rappresentano Mahmùd seduto in trono ad ascoltare: stanno attorno i cortigiani, e Firdusi siede in basso con le sue carte sopra un leggio, mentre di rincontro si vedono i suonatori di liuto e un gruppo di danzatrici che accompagnano con gesti in cadenza la lettura del poeta. Nel 1011 dell’Era volgare Firdusi compiva appunto il suo Shàh-nàmeh o Libro dei Re in sessantamila distici, con le seguenti parole: