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sfida, e i tre poeti, i cui nomi erano Ansari, Farrukhi, Usgiudi, improvvisarono tre versi, uno per ciascuno, con una rima (che era in shen) difficilissima da ritrovare. Pensarono essi che dopo tre rime in shen l’incognito poeta non ne avrebbe trovata un’altra, e avrebbero perciò goduto della sua confusione. Ma Firdusi, senza esitare, improvvisò un verso che nel senso si accordava con i tre antecedenti, e, ricordando la battaglia di Ghêv, eroe persiano, nei campi di Peshen, potè con questo nome compiere la rima. I versi furono i seguenti nel seguente ordine:

Ansari: Come la guancia tua luna non splende;

Farrukhi: Rosa non è in giardin pari a tua guancia;
Usgiudi: Passa gli usberghi ogni tuo sguardo e fende.

Firdusi: Come in giostra a Peshèn di Ghev la lancia.

Non è a dire come restassero meravigliati i poeti; che anzi, per colmo di lor confusione, essi dovettero dimandare a Firdusi quale fosse mai la battaglia di Peshen, e Firdusi loro la narrò, lasciandoli poi scornati e dolenti della loro presunzione.

Ma Firdusi, prima di poter essere ammesso alla presenza del principe, dovette superare molti ostacoli, perchè i poeti della corte, accortisi omai del suo valore, volevano ad ogni costo impedire che il principe ne avesse conoscenza. Ma poi, secondo alcuni, un amico di Firdusi, di nome Màhek, presentò al Sultano la leggenda di Rustem e d’Isfendyàr che Firdusi già aveva composta. Altri dicono che fu lo stesso Ansari che introdusse Firdusi da Mahmùd e volle far giustizia al merito di lui, declinando anche l’incarico già avuto dal principe, come vincitore del