Abbi d’aita. Son difesa e schermo
A cor bennato l’innocenza e il dritto. 1220 In volto al genitor levò lo sguardo,
In volto al genitor che ardea d’amore,
Glorïoso e possente, e tal risposta
Eràg’ gli fe’: Deh! tu, signor, riguarda
Di nostra sorte instabile vicenda! 1225Volge ratto il destin, sì come turbo,
Sul nostro capo. E l’uom che ha fior di senno,
Perchè se ne dorrìa? Cadon le rose
Già fresche e porporine, e immortal spirto
S’attrista e oscura al trapassar degli anni. 1230È nostra vita fulgido tesoro
Al suo principio, e duol senza misura
Al termin suo; dopo il dolor, ne resta
Da questo luogo miserando e breve
Eterna dipartita. E poi che un giorno 1235Riposo avrem tra fredde zolle e dura
Pietra ne sosterrà l’affranto capo,
Oggi, o padre, perchè dovrem tal pianta
Seminar che di sangue alle radici
Si nutrirà, sotto a le triste foglie 1240Porterà frutto di lunga vendetta,
Per quanto volga il cielo? Alti e possenti
Vide la terra, con regal suggello,
Con regal trono, antichi re; molti altri
Vedranne ancora. Ma, fra i riti suoi, 1245Nessuno avea di tanti incoronati
Di vendetta la legge. Ed io, se aita
Otterrò dal mio re, questa mia vita
Non macchierò giammai con opre ree,
Chè il trono e il serto non vogl’io, non quella 1250Celata di guerrior. Ma senza scorta
Andrò correndo, io sol, fino alle case
De’ miei fratelli, e lor dirò: «Deh! cari
A me come quest’alma e questo corpo,