In che ti assidi. Quei che cerchi e chiedi,
Son, come brami, vivi ancor, fiorenti 1085E forti in nome tuo. Di tal regnante,
Qual tu sei, mi son io non degno schiavo,
Non libero di me signore e donno.
Ma tristo è il mio messaggio, e chi m’invia
Ha gonfio il cor di gran disdegno; io niuna 1090Colpa non ho. Che se men fa comando
Il mio prence e signor, di due garzoni
Stolti e superbi gii esporrò il messaggio.
E quei fe’ cenno di parlar. Le udite
Cose allor ripetè quel messaggiero, 1095E re Fredùn tendea l’orecchio, e un grave,
All’udir quel messaggio, e un improvviso
Sdegno gli tumultuò dentro nel core
Subitamente. Ond’ei si volse al messo,
E, Per questo tuo annunzio alcuna scusa 1100Da te, disse, non chieggo, e non m’è d’uopo.
Questi occhi miei già di veder cotanto
Si attendean, questo cor già si pensava
Di udir tal cose. Ma tu va! dirai
A que’ due stolti e vili, ambo Ahrimàni, 1105Offesi nella mente, in questa guisa:
«Beati voi! che vostra indole vera
Mi disvelaste alfin! Certo dovea
Venirne a me da voi questo saluto,
Di voi ben degno! Ma se via dal core 1110E dalla mente ogni consiglio mio
Per voi si cancellò, qual prova o quale
Indizio restò mai di vostro senno
O di vostra virtù? Di Dio timore
Non conoscete, non vergogna, e nulla, 1115Nulla è saggezza in voi. Quali or voi siete,
Fui pure un giorno anch’io, quand’era bruno
Qual pece il crin, qual d’agile cipresso
La mia statura, e bello era il mio volto