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Elefanti guerrieri e furïosi;
E tal da tanti eroi valenti in armi
Tumulto si facea di varie voci
1050Qual ruggir di leoni. Il messaggiero,
Questo è un cielo!, pensò; mille son quivi
Eroi gagliardi, al dilettoso loco
In bell’ordin disposti intorno intorno.
     Levàrsi allora i guardïani accorti
1055E all’antico signor dell’ampia terra
Annunzïàr che un messaggier venìa,
Un uom preclaro e di gran senno. E tosto
Le cortine levar fe’ dall’entrata,
Fe’ discender quel prence e nell’eccelsa
1060Aula il messo introdur. Ma il nunzio, allora
Che giunsero a Fredùn quegli occhi suoi,
Sentì che il core e gli occhi suoi pur anco
Eran pieni del re. Quale un cipresso
Era quel sire nella sua statura,
1065Bello nel viso come sol, le gote
Qual fresca rosa e candidi i capelli
Come canfora intatta, e le sue labbra
Eran dischiuse ad un lieve sorriso,
E verecondia era in quel volto, e piena
1070Era la lingua d’un parlar gentile.
Ciò vide il nunzio e si prostrò, di baci
Dinanzi al vecchio re coprì la terra.
Ma Fredùn fece assiderlo ed eletto
E degno un loco gii assegnò. Chiedea
1075De’ figli in prima sì diletti a lui,
Se lieti erano ancor, se forti e sani.
Dimmi, soggiunse, come valicasti
Il deserto e la via lunga ed i monti,
A me venendo, e le solinghe valli?
     1080Magnanimo signor, rispose il messo,
Mai non avvenga che qualcun di noi
Vegga privo di te l’eccelso trono