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Dekîki nel 960 dell’Era volgare, e Firdusi concepì allora il disegno di compiere l’opera alla quale Dekîki era stato destinato. Egli stesso, nella introduzione al poema, ci dice che con grande difficoltà, e soltanto per generoso animo di un giovane suo amico, potè avere una copia del libro già composto da Dànishver, e parla dei tumulti e degli scompigli del suo tempo e della nessuna generosità dei principi verso gli eletti ingegni.
Pur tuttavia, incoraggiato da quel suo amico, Firdusi incominciò a verseggiare le antiche leggende, e l’entusiasmo che destò quella di Dahâk e di Frèdùn da lui composta, gli diede l’accesso fino ad Abù Mansùr, prefetto del Khorassan, che l’esortò con ardore grandissimo a continuare l’opera incominciata. Nell’introduzione del poema si trovano pure le lodi di questo personaggio che per il primo indovinò l’ingegno del poeta.
Spargevasi intanto la fama che Mahmùd cercava un poeta; e allora tutti quelli che conoscevano il merito di Firdusi, lo sollecitarono a recarsi a Ghasna e a presentarsi alla corte. Firdusi parti da Tùs, e si dice che nel suo entrare nella gran città, la città dalle dodicimila moschee, nelle vicinanze di un albergo dov’egli si era recato per alloggiare, in un giardino, s’imbattesse in tre poeti della corte. I quali, vedendo che Firdusi loro si accostava, deliberarono di allontanarlo dicendogli che nella loro compagnia non si accoglievano che poeti. — Anche il vostro servitore è un poeta, disse ingenuamente Firdusi. — E quelli, nell’intento di confonderlo e di pigliarsi giuoco di lui, gli proposero di improvvisare un verso dopo che ciascuno di essi ne avrebbe improvvisato uno. Firdusi accettò la