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Degli antichi tesori, e schiuse ancora
Ciò che per lungo tempo ei nascondea,
Chè le sue figlie, tre, volti di sole,
Pari a un giardin di paradiso (e mai
630Così vago arboscello un sacerdote
Piantato non avea, come coteste),
Con dïademi e con tesori, quali
Niun travaglio costâr, mentre lor trecce
Avean sentita d’un rovente ferro
635La stretta forte in adornarle, fuori
L’antico sire addusse e a’ giovinetti
Affidò tostamente. Eran tre lune
Ancor novelle, eran tre re gagliardi.
Ma di Yemèn il re, per la rancura
640Del core acerba, Oh! non venìa, pensava,
Da Fredùn non venìa tanta sventura!
Essa venne da me. Di me non resti
Alcun ricordo ornai, da che soltanto
Femmine diè la maschia stirpe mia!
645Vergini figlie chi non ha, beato
Tu estimar dêi, ma l’astro non ha luce
Di tal, che ha figlie. — Ma levando poi
Alta la voce, ai sacerdoti innanzi
Ei così disse: A queste figlie un regio
650Sposo ben si convien. Sappia di voi,
Sappia ciascun che le tre figlie mie
Dilette a me, seguendo i riti miei,
Oggi a questi affidai giovani prenci,
Ond’essi, quanto a lor cara è la luce
655Degli occhi, abbianle in pregio, e sì col core
Guardinle ancor, quanto la propria vita.
     Pianse, ma tosto l’alte suppellettili
Degli ospiti apprestò, d’ardimentosi,
Forti cammelli in su la schiena. Intanto
660La terra di Yemèn lucea di gemme,
Seguìan l’un dietro all’altro i palanchini