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Entrâr di Yèmen i tre prenci allora,
E di Yèmen uscìr uomini e donne
Ad incontrarli. Zafferano e gemme
520Sparsi fûr su la via, muschio odoroso
E vin possente, onde fûr molli a un tratto
Le criniere ai cavalli al corso sciolti,
E monete brillavano sul suolo
Degli accorrenti sotto al piè. Dimora
525Eccelsa era colà, qual de’ beati
È la sede nel ciel, ricca di fregi.
Chè i nitidi mattoni eran d’argento
E d’oro intatto, greci drappi intorno
Pendean dovunque; oh! molte elette cose
530E prezïose eran là dentro accolte!
I regi ospiti suoi con regal pompa
Serv accogliea. Poi che mutossi in giorno
La notte oscura, tutti ei fe’ beati,
Chè l’antico signor le tre fanciulle,
535In quella guisa da Fredùn predetta,
Fuor menò da le stanze. Eran qual luna
Le tre fanciulle nell’aspetto adorne,
E rimirarle non poteva alcuno.
Si assiser su gli scanni, e qual già detto
540Fredùn aveva ai figli suoi, de’ posti
Era l’ordine tale. Interrogando
Si volse allora ai giovinetti il prence:
     Di queste figlie mie, stelle del cielo,
545Qual’è per anni la minor mi dite,
Qual la seconda m’additate, e quale
Di tutte è la maggior. Così v’è d’uopo
Designarle a me qui. — Ma in quella guisa
Che appreso avean, tutto svelâr l’arcano
550I giovinetti e del maligno giuoco
Reser vano il poter. Meravigliossi
Di Yemèn il signor, stupir gli astanti
Prenci del popol suo. Ratto conobbe