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235Dalla sventura ti difenda), in questo
Fammi, fammi ragion che nulla è in terra
Più caro al nostro cor dei dolci figli
E della vita. De’ giocondi figli
Nulla è più grato a noi, vincolo uguale
240Non è al vincol de’ figli. E se nel mondo
Tal vi fu mai che di tre luci in fronte
Lieto ne andasse, quello io son, chè i figli
Miei son tre luci risplendenti e belle,
Cari assai più degli occhi miei. Si levano
245All’Eterno questi occhi ossequiosi
In rimirarli. Oh! che dicea quel saggio,
Maestro di virtù, nel dì che molte
Ebbe parole su connubi e patti?
«Alleanza con quei non feci io mai,
250Disse, che più di me caro non fosse
A questo core». Ma l’uom saggio e accorto
Di pari grado cercasi l’amico;
E un re possente, anche se lieta all’uomo
Ride fortuna, senza figli in terra
255Mai non sarà beato. Io pur fiorente
Regno posseggo ed uomini e tesori
E potestà di re; ma tre fanciulli
Ho ancor, figli diletti, a questa luna
Pari in bellezza, di corone e d’elmi
260Degni e di trono, che in ricchezze accolte
Di nulla hanno scarsezza; e ad ogni voglia
Libera e sciolta hanno la mano. Or vedi
Che a questi tre sì vaghi mici fanciulli
Ben si convien nelle secrete stanze
265Addur tre vaghe giovinette, illustri
Figlie di gran signor. Disse la gente
Conscia del vero innanzi a me (si mosse
Questo mio core all’insperato annunzio)
Che tre nobili figlie entro a tue stanze
270Hai tu, signor, le fulgide pupille