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Non regal seggio, rispondea quel prode,
All’uom quaggiù. Ma figlio giovinetto
D’Abtìn illustre qui son io, che il fiero
Dahàk rapiva dall’iranio suolo
1055Ed uccidea miseramente. Io vengo
La sua vendetta a domandar, drizzando
Verso il trono dell’empio i fermi passi.
Ei pur mi uccise quella che sui monti
Col latte mi nudrì, fatal giovenca
1060(Birmàyeh si dicea), lei, che sul corpo
Avea di tinte artificiose e belle
Vago ornamento. Ei l’uccidea, nè chiaro
E a me qual ebbe il truculento sire
Frutto dell’opra sua, quella giovenca,
1065Muta e innocente, trucidando. Or io
L’armi cinto mi son, d’un fiero assalto
Con lui bramoso, e per l’irania terra
Qui men venni però. Con questa clava
Che in lucido metal d’una giovenca
1070Reca a sommo la testa, io su la fronte
Colpo fatai gli vibrerò, nè grazia
O favor gli farò. — Dunque tu sei,
Gridò Ernevàz, come ascoltò que’ detti
Del giovane signor, poi che svelato
1075Era il secreto omai, dunque tu sei
Re Fredùn giovinetto, e se’ quel forte
Che di magìa disperderà le impure
Arti e gl’inganni. Di Dahàk la morte
Si sta nella tua man; franchigia attende
1080Questa terra da te. Noi pur siam figlie
Di re possenti, d’ogni colpa immuni,
Cui di morte timor fe’ sottomesse
All’empio sire. Ma posar, levarsi
Con uom che di serpente ha le sembianze,
1085O re, chi mai potrebbe? — E di rimando
Re Fredùn rispondea: Se veramente