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520Signoreggiata, le sue fosche ciglia
Su la fronte aggrottando, egli in tal guisa
Le diè risposta: Forte non si rende
Generoso leon se tu nol provi.
Tutta or compiea la voglia sua quel tristo
525Di magic’arti gran maestro; il ferro
Or tocca a me. Con quello in pugno, Iddio
Seguendo e il cenno suo, l’empia dimora
Di re Dahàk distruggerò dall’alto.
     Oh! sconsigliato, rispondea la madre;
530Vano pensiero è il tuo, nè tu potrai
D’un ampio regno e della terra tutta
L’armi infrenar. Non sai che trono e serto
Dahàk possiede, che infinito esercito
Attende un cenno suo, che per far guerra,
535Pur ch’ei le chiami, da ogni terra a mille
Sorgon sue schiere? Ben dà ciò diverso
È di tua gente il pensiero e il costume,
Altra è la guerra! Ogni più grave cosa
Non giudicar dei teneri anni tuoi
540Col senno giovanil. Chi de’ primi anni
Gustò il fervido vin, nessun nel mondo
Vede fuor che sè stesso, e alfin dell’opra
Cade vittima ei pur di quella prima
Effervescenza dell’età inesperta.
545Scorran felici, scorrano beati
I giorni tuoi, ma tu ricorda il savio
Consiglio mio. Le cose tutte, o figlio,
Son vento inane, so pur togli il detto
Di quella sì che ti fu madre un giorno.

IV. Il fabbro-ferraio.

(Ed. Calc. p. 34-38).


550     Avvenne allor che sempre le sue labbra,
E notte e dì, schiudea Dahàk nel nome