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Sì che il fuoco ei destò per voglia rea
Nel vuoto albergo ed atterrò le case.
450     Ma poi che giunse all’anno sedicesmo,
Dalle vette d’Albùrz venne quel prode
Alla vasta pianura, e con intensa
Brama Fredùn così a cercar si volse
L’antica madre sua: Deh! tu mi svela
455Il secreto del cor, deh! tu mi narra
Qual fu l’illustre padre mio, di quale
Stirpe son io, di qual semenza. Innanzi
A questa gente, qui, che dir potrei?
Deh! con alto saper tutta mi esponi
460L’antica istoria! — Ciò che a me tu chiedi,
Franèk rispose, io ti dirò. Ben sappi
Che in Irania già visse un uom prestante;
Abtìn fu il nome. Era di prenci antichi
Inclito germe, vigile e prudente,
465Eroe gagliardo che a nessun giammai
Danno recò per voglia trista. Il sangue
Da Tahmuràs avea, l’antica stirpe
Rammentando in suo cor di padre in padre.
Questi fu padre a te, sposo giocondo
470A me già un tempo, e soltanto per lui
Era a quest’occhi miei sereno il giorno.
Ma gl’indovini che degli astri il corso
Contemplano su in ciel, dissero un giorno
A re Dahàk: «Sì! da Fredùn la morte
475A te, prence, verrà». Dissero, e il crudo,
Di magic’arti gran maestro, stese
La man da Irania a trucidarti. Allora
Io da lui ti nascosi. Oh! quanti giorni
Infelici io passai, chè il padre tuo,
480Giovane ancor, sì forte e sì prestante.
Per te donò la cara vita. Sorgono
Di Dahàk da le spalle, orrido mago,
Due negre serpi; e venne gran sterminio